La bellezza si nasconde anche nell’eterno ritorno dell’uguale.
I Placebo hanno smesso di fare capolavori da 20 anni. Su questo, più o meno, sono tutti d’accordo. Eppure deve esserci qualcosa nei loro ingredienti che riesce a non far mai scadere i lavori sotto un certo livello. Insomma non hanno mai avuto un Wild Mood Swings o un Risk, per capirci.
Questo plateau raggiunto – che solitamente fa arrabbiare i critici esigenti ma regala gioia ai fan meno rompiscatole – è lo stesso che hanno conquistato da anni gente come gli AC/DC o Slayer (R.I.P), band dove i veri e propri dischi da isola deserta erano ormai un ricordo lontano ma che comunque hanno continuato a sfornare per anni lavori più che decorosi in linea con il proprio stile.
Se preso in questa maniera, il nuovo singolo di Brian e Stefan è ineccepibile. Suona Placebo già dal quarto secondo, è riconoscibile in mezzo a milioni di brani nuovi e conserva tutte le variabili che vanno a costruire i loro pezzi da più di un quarto di secolo: la voce nasale di Molko con la sua metrica allungata sulle code, un riff semplice e quadrato con mille lavori di cesellatura negli arrangiamenti laterali, emotività a chili e voglia di muovere la testa.
Un insieme di clichés forse, ma che, come una carbonara, funziona sempre: se l’animo critico può far dire all’ascoltatore “eh però sono sempre uguali” la pancia si sente rassicurata, soddisfatta e fuori pericolo, consolata e coccolata nei sapori familiari che fanno sentire al sicuro.
La morale? Eccola: a volte ripetersi è meno peggio di quel che si pensa.
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