Il culto inossidabile degli shock rocker per eccellenza.
Il culto dei Death SS si basa sulle storielle. Partendo dalla prima intervista apparsa su Rockerilla nel marzo 1982, passando per la rocambolesca dipartita di Paul Chain, i misteriosi 7” pubblicati a uso privato, il demo in 2 copie, e così via. Insomma un culto si costruisce anche – spesso soprattutto – con i racconti che lo circondano.
Perché la musica non è (era?) solamente un insieme di note, ma ha (aveva?) anche la capacità di stimolare la fantasia, accendere la curiosità, far viaggiare l’immaginazione. Ecco allora che Steve Sylvester & Co. risultano davvero tra i capifila del genere. Persone che mille anni prima dei Ghost hanno saputo catturare l’attenzione dei proseliti, alimentando un fanatismo dove realtà e finzione si fondono al punto tale da diventare un unicum inscindibile: alla fine sappiamo tutti che si tratta di Clark Kent, ma è di Superman che siamo innamorati.
Il gioco però non potrebbe stare in piedi senza la musica (altrimenti sarebbe una pagliacciata tipo i Classix Nouveaux), e se c’è una cosa che ai Death SS non è mai mancata – seppur con alti e bassi, come in ogni carriera ultraquarantennale che si rispetti – è la capacità di saper scrivere brani convincenti e coinvolgenti.
Questa nuovissima Zora ne è un fulgido esempio: un mix tra le soluzioni più orecchiabili dei Ghost (appunto, soprattutto nelle parti melodiche) e un certo metal anni ‘80, che ricopre di drappi porpora l’anima nera e inconfondibile dei Nostri. Una cavalcata guidata dalla unica e sempre letale voce di Steve – vero e ineguagliato maestro delle cerimonie in nero – che continua a svettare anni luce sopra miriadi di wannabe della domenica.
Una conferma per un mito inossidabile. Ah, c’è anche il videoclip VM14 ed è uno spasso!
Death SS Steve Sylvester Ghost
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