In un atipico bar sotto il mare.
A raccontarli, i Vanishing Twin possono ricordare una barzelletta vecchio stile: ci sono una cantante inglese (Cathy Lucas, già nei Fanfarlo), una batterista italiana (Valentina Magaletti: ha tenuto il tempo per Bat for Lashes), il bassista giapponese (Susumu Mukai aka Zongamin) e un polistrumentista albionico (Phil M.F.U., ex Broadcast: si sente). Mancano solo il Papa e un aereo e ci siamo. La faccenda, in realtà, è seria e meritevole di interesse. Perché anche sulla soglia del difficile terzo album, nel favoloso mondo dei Vanishing Twin nulla è quel che sembra.
Con le dovute sfumature, l’estetica sonora e non del quartetto indaga il bagaglio di suggestioni, fantasie e memorie assemblate a posteriori comune ad altri contemporanei ghostalgici pop. Come i Beautify Junkyards, anche loro proseguono nel solco di Stereolab, Movietone, Pram e giustappunto Broadcast mescolando exotica e jazz saturnino, Morricone e Umiliani, elettronica vintage e orientalismi, tarda psichedelia e Canterbury, krautrock e tropicalismo. Di tutto? Di più.
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Riadattati i costumi del balletto triadico di Oskar Schlemmer, aggiungono due cubetti di ghiaccio, shakerano e servono un cocktail gustoso. Attenzione, però: pensi a un tasso alcolico leggero, ma questo pop trasversale nasconde le inquietudini sotto un policromo tappeto. Fa e disfa la trama, intreccia il lato oscuro dell’infanzia alle stranezze del quotidiano e inganna a fin di bene.
Come una marea figlia della luna piena, la musica cresce un ascolto dopo l’altro. La sciantosa, il groove e l’organetto ti seducono e ipnotizzano. Il monoscopio inizia a cambiare forma, le alghe ti legano i piedi e l’acqua sale alla gola. Strane creature che sfuggono alla luce del sole si animano. Non hai paura, anche se tutto è un po’ strano e hai appena capito che non ne uscirai più. Poco male: a un certo punto arrivano delle sirene, e una volta tanto non si tratta di ambulanze.