Dal busking e dall’autoproduzione, all’etichetta di John Prine, alle vostre orecchie.
Rigenera, specie in tempi ostici come quelli che viviamo, sentire belle storie nella musica e, in generale, di come qualche volta le cose si mettano bene da sole. «Tré Burt non è estraneo alla coincidenza. Molta della sua carriera musicale è stata segnata da incontri casuali e felici incidenti, il tipo di cose che vedi nei film ma di cui fai raramente esperienza nella vita reale», si legge nella biografia di questo folksinger, un po’ Ben Harper e un po’ Bob Dylan. E come un altro eroe folk di tempi recenti, Glen Hansard, Tré Burt non si limita a raccontare una vita romanzata, ma cerca inconsapevolmente di rendere romanzata la vita che vive.
Il suo primo album, Caught It from the Rye, se lo era prodotto e promosso da solo, suonandolo anche per strada, almeno finché non è stato preso sotto l’ala di John Prine, la cui Oh Boy Records l’ha rilanciato da zero. Fra l’altro, la leggenda del country ci ha lasciati l’anno scorso: cosa c’è di più cinematografico e romantico di un passaggio di testimone del genere?
Quel che è sicuro è che Burt ci darà soddisfazioni, e che la Sweet Misery di cui – amaro come se fosse molto più vecchio di quel che è – ci parla, probabilmente la conosce meglio di altri. Pennate di acustica, armonica, una voce un po’ graffiata, e si ritrova tutto quel che ci eravamo persi. You, Yeah, You sarà il suo nuovo album – il che ci fa capire che, ancora una volta, de te fabula narratur, e di fronte a una canzone ben fatta non possiamo chiamarci fuori. E speriamo di non farlo.
«You, yeah, you, who else am I talking to?».
Tré Burt Glen Hansard Ben Harper
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