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Somnuri: Desire Lines
Dei damerini

Fangosità psichedeliche per un umanissimo ritorno all’umano.

I meno avvezzi quando si trovano di fronte al termine sludge solitamente assumono l’espressione di quel famigerato meme chiamato Math Lady (che in realtà è un’attrice brasiliana, Renata Sorrah).

Per provare a descriverlo basta prendere un po’ di stoner, un pizzico di doom, una spruzzata di southern rock e un’attitudine sciatta derivata dall’hardcore. In pratica i Melvins che fanno i Black Sabbath. O viceversa.

Spesso però ci si dimentica quanto un certo tipo di psichedelia permei indelebilmente il genere, e qui le cose si fanno più complesse.

In aiuto vengono i Somnuri, trio di stanza a Brooklyn che con Desire Lines scrivono involontariamente un bignami dello sludge stesso, dato che il singolo racchiude nei suoi cinque minuti e rotti tutte le peculiarità del genere. Un magma lisergico tra chitarre a palla infilate dentro Orange ipersaturati, dove una voce calda e posseduta dai funghetti ci accompagna in un vero e proprio trip sensoriale capace di staccarci – seppur momentaneamente – da ogni paranoia legata all’esistenza sempre più freneticamente start&stop di questi ultimi mesi.

È musica analogica, come analogici siamo noi: per quello arriva dritta non tanto al cervello quanto allo stomaco, che dell’essere umano è l’organo pensante meno compreso dal mondo. Una band che è già culto per un suono senza età che non smette di far sentire vivi, qualsiasi cosa questo possa significare. Da lassù, Chris Cornell sorride amaramente dicendo a sé stesso: «Quello mi piaceva fare – quella roba lì».

Come dargli torto.

Somnuri 

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