Definirli solo metalcore sarebbe ingiusto nei loro confronti: questo è ukrainian groove metal!
I Jinjer sono una fusione tra le melense sceneggiate ribelliste dei gruppi metalcore, la raffinata decadenza degli Opeth prima del trip vintage prog e un po’ di nu metal, che prima o poi da qualche parte doveva riproporsi, vista la gran massa di giovini che quindici anni fa non ascoltavano altro.
Eppure qui non siamo di fronte solamente a un’accozzaglia di sottogeneri assemblati a comparti stagni in una traccia-matrice uguale alle altre undici dell’intero disco. I Jinjer hanno una visione che non si sa bene dove li porterà, né se poi il mondo vorrà seguirli a scoprirla, sia chiaro. Ma non è poca cosa nel 2021, se suoni roba satura.
Per ora sono una bella realtà crossover, capace di usare un do-saggio di ingredienti in equilibrio sul baratro del lago di piscio di Satana. Vortex è un pezzo che non si fa mancare proprio nulla. Dalle sboronate mosh dei Lamb of God, al rapsodismo dei System of a Down, con la presenza femminile che sciorina moine cyber-yoga alla Cristina Scabbia e poi mangia tutti sul cranio come sapeva fare Otep Shamaya.
I Jinjer sono da tener d’occhio, ma non perché sono ucraini e così potete tutti fare gli hipster metallari aperti alle valenze esotiche dell’omogenisfero: sono semplicemente buona ciccia per i denti di chi ancora spera di trovare qualcosa di saporito nel versante djent-core-math-groove metal.