La reunion è stata una riabilitazione di sei anni, ma i risultati vanno oltre le più ottimistiche aspettative.
Si sono riformati nel 2010 e hanno ricominciato a far dischi nel 2014. Purtroppo sembravano davvero un pallido spettro di ciò che gli At the Gates erano nel 1995, anno in cui implosero, lasciando un disco fondamentale per il death melodico, che qui è superfluo citare. Ok, va bene, lo cito: Slaughter of the Soul. Da At War With Reality, gli At The Gates non sembravano neanche così convinti di continuare. Di sicuro la musica nuova non esprimeva tutta questa ritrovata ispirazione. Poi è uscito To Drink From The Night Itself (2018) ma anche lì non è che ci fosse anche lì una prorompente euforia creativa. Si tirava avanti faticosamente, in una riabilitazione compositiva appesantita da spesse ragnatele.
Oggi riecco gli At The Gates quelli belli, quelli grandi, che non hanno niente da chiedere a nessuno, seguono le strade che sentono di dover seguire, finendo per trovare luoghi che nessuno potrebbe scoprire, a parte loro.
The Fall Into Time è l’autentica rinascita degli At The Gates progressivi e sperimentali, liberati dall’immagine cristallizzata degli anni 90, dalle beghe e dagli scazzi, dal bisogno di celebrare e di ricordare come si facevano le cose davvero fiche. C’è sempre stata tanta sofferenza nel percorso di questo gruppo. Il latrato di Tomas Lindberg è l’espressione totale di questo spirito claudicante e inquieto che vaga fino a smarrirsi, in corridoi così bui e freddi, senza luci o rumori. La ragione creativa di una band del genere è avveneristica, esplorativa. Non devono chiedersi cosa il pubblico possa attendersi, ma dove lo condurranno per mano ancora una volta.
Gli At The Gates sprofondano nel tempo, lo trascendono, alla faccia dei nostalgici, del “vintage è cool”, della gran retorica “dell’underground perchéssì”, dove un gruppo si ritrova a dover rispondere di un’immagine calcificata di se stesso, e rinfacciatagli da un pubblico disperatamente attaccato a un momento irripetibile, che pretendere sia eterno, o se non altro reiterato, anche se in questa ripetizione si svuota di senso sempre più.