Corri, ragazza, corri. Hai tutto quel che serve per non perderti per strada.
Quando pronunci parole come multiculturalismo e crossover, oggi pensi a una come Alewya. State a sentire: venticinque anni, nata in Arabia Saudita da padre egiziano e madre etiope, cresciuta in Sudan e trasferitasi nella zona ovest di Londra. Due brani sono bastati per guadagnarsi l’ammirazione di Little Simz, che l’ha voluta per aprire le date del prossimo tour, e ad appuntarla sul taccuino. Piace che Alewya impressioni badando al sodo, cioè poggiando tutto su un talento puro e poliedrico.
Un talento che si è abbeverato a molte fonti sin da quando, in giovane età, a scolpirne personalità e consapevolezza sono stati la spiritualità islamica, la musica tradizionale etiope, un fratello maggiore fan di Smashing Pumpkins, Nirvana e Deerhunter. E un blues che gli esseri umani tengono sotto la pelle come stato dell’anima e del cuore. Qualcosa che solo dopo – molto dopo – diventa un genere musicale che puoi plasmare su ciò che ti circonda e ti scoppia dentro. Blues sono Robert Johnson, Massive Attack, Tricky, Tinariwen, Mulatu Astatke e per questo Alewya spiega che, tra le altre cose, Jagna è anima e rabbia, vulnerabilità e liberazione. In amarico, comunque, la parola significa “guerriera” e infine tutto torna.
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Il cerchio si chiude perfettamente su una voce che sferza e carezza su atmosfere allo stesso tempo ancestrali, futuribili e contemporanee. Incalzante il saltellare ritmico ed efficaci sonorità che frullano schegge di hip hop, UK garage, reggae ed etnotronica. Una melodia sospesa tra panorami urbani e Corno d’Africa si sviluppa sempre meno frenetica fino a sciogliersi in un anticlimax mistico.
Mentre applaudi, osservi una Grace Jones con l’attitudine di M.I.A. correre dal buio pesto nella luce e rallentare, respirare e guardare avanti. Diresti che nulla possa fermarla e che di fronte a sé abbia un futuro radioso. L’età, le idee e la visione ci sono tutte. Long may you run, girl.