Incroci, varianti e mutazioni di un nuovo punk milionario.
È forse quest’attesa smaniosa – che ci mangia dentro e fuori da quasi cinquant’anni ormai – di (ri)trovare il punk anche nei posti più impensati, essa stessa il punk? Può darsi. Dopotutto impedire a chi ha fatto (bontà sua) barcate di soldi di schierarsi a favore di certe tematiche sarebbe populismo razzista al contrario e comunque – da che mondo è mondo – uno dei mille modi per mettere in atto la buona vecchia Rage Against the Machine è sedersi dal lato del guidatore e, la machine stessa, spedirla a cento all’ora a trovar l’anima sua contro un muro. Avendo ovviamente l’accortezza di saltar fuori un attimo prima dell’impatto. Giusto per godersi la scena. E tutto il resto della barcata di soldi che ti è rimasta in banca, s’intende.
Hanno detto: questo è quello che succede quando due punk si gettano in battaglia, ognuno con le armi che preferisce. Da un lato fa un po’ ridere, messa così. Immaginarsi un Che Guevara FILF con la chitarra che ormai ha perso il conto dei dischi di platino che ha in bacheca e un baronetto mascherato che viene pagato a peso d’oro per saltare come un capretto imbizzarrito sui palchi dei rave di mezzo mondo, avviarsi a testa alta e a mani nude verso il sanguinoso centro di una mai doma guerra al sistema. Ma Tom Morello ha sempre mostrato una certa coerenza con se stesso e Sir Bob Cornelius Rifo non è la prima volta che lo segue nelle sue lotte contro i suoi mulini (potenzialmente) a vento. E in ogni caso mettere certe storie sotto la luce di riflettori più mainstream dei neon intermittenti che in genere illuminano il solito centro sociale non può che fare in qualche modo bene. Se non altro va il oltre il semplice raccontarsela.
Nello specifico, parlare di “luce” e “neon” è comunque rischioso: da lì a scadere in battute di cattivo gusto è un attimo. Sì, perché Radium Girls riconsegna all’onore delle cronache una vecchia, tragica vicenda, fatta di fabbriche di orologi, sfruttamento del personale, vernici fluorescenti e giovani donne sfortunatamente morte, ma – a tutti gli effetti – morte ammazzate.
Musicalmente parlando, poi, niente da dire: esattamente quello che ti aspetti, consegnato in anticipo e senza errori. Il comandante Morello è perfettamente a suo agio tra i beat malati dei Bloody Beetroots, ci mette un lavoro chitarristico impeccabile, le solite rime da attivista navigato e nemmeno così radical chic e un classico rumorismo armato. Per farla breve, sul canovaccio di un racconto di inizio Novecento, riporta in auge quello spirito di inizio Duemila, quando maestri del mash-up come Freelance Hellraiser e Soulwax erano riusciti a incorniciare la qualunque dentro i confini elastici dell’electro-pop.
Per trascinare infine il concetto di feat su un altro livello – e riporre quello di punk sui binari di un comune sentire – la parte vocale è qui equamente distribuita tra Nadya Tolokonnikova delle Pussy Riot, Aimee Interrupter degli Interrupters, Mish Way degli White Lung e Delila Paz dei Last Internationale. Chiamatelo assembramento – così, giusto per continuare ad andare contro le regole, ma senza farsi troppo male.
Tom Morello & The Bloody Beetroots Tom Morello The Bloody Beetroots Rage Against The Machine Pussy Riot The Interrupters The White Lung The Last Internationale
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