La Russia come la temiamo di più.
Gli Slaughter to Prevail sono la versione da cartolina (dall’inferno) della Russia come ce la fanno immaginare i social e certo cinema di genere: orsi famelici, depressione etica, tute Adidas e telefonini, edonismo canceroso e deathcore in ritardo di dieci anni. Ah, non dimentichiamo la figura mitica del folklore degli Urali: la strega antropofaga che vive nella casa dalle zampe di gallina, la Baba Yaga.
Baba Yaga è un concetto che forse c’entra poco o nulla con il senso della canzone. Ci sono altri esempi di nomi propri messi in cima a un singolo, nonostante il brano non abbia alcun riferimento specifico, nelle liriche o negli umori sonori: Grace Kelly di Mika, Chris Benoit degli Insane Clown Posse o Mastroianni dei Sottotono. Baba Yaga non è un personaggio pubblico vero ma sta lì, dicendo tutto e niente sul tipo di pezzo che propongono gli Slaughter to Prevail.
La band russa invoca lo spirito nero delle foreste e ci getta in faccia un algoritmo di sangue e morte, con maschere alla Eyes Wide Shut, ma sarebbe stato più ficcante un calco dorato del volto salmastro del compagno Stalin. In realtà i veri simboli tenebrosi della Bianca Madre qui non si trovano e ciò che resta è un puccioso rullo compressore di metallo edul-core-ato dalla tecnologia digitale, nemica del vinil verbo.
Vengono da Ekaterinburg, dove gli orsi sbuffano fumo alla faccia di Kyoto. Il vero cannibalismo di cui parlano gli STP è quello delle multinazionali.