Chiamarsi come il più portasfiga dei personaggi arturiani e domandarsi perché le cose siano andate come sono andate.
Non siamo superstiziosi, ma è un fatto che Mordred, inquietante personaggio del ciclo arturiano, sia stato causa di un totale disastro nella saga dei cavalieri della tavola rotonda. Insomma, chiamarsi così non è proprio il massimo, specie se si vuole fare breccia nel giro dell’epic metal.
I Mordred però hanno smesso dopo pochi demo di cavalcare e pugnare, investendo pesante sulla fusione apolide tra rap, funk, metal e quant’altro. Negli anni ‘90 c’era un mercato e un pubblico per questo genere di cose, ma forse non nei giorni in cui la band ha iniziato a farsi notare in giro.
Dopo il collasso dovuto alla ragione principale dell’oblio di tante realtà rock – l’insuccesso in America – i Mordred hanno più volte minacciato di tornare, riprendendosi il poco che era loro. L’ultima volta erano in rete a fare una colletta per l’incisione di un EP, ma la questua non è andata molto bene. Poi altro silenzio e ora eccoli decisamente calati nell’arena, con l’elmo in testa, una chitarra svisona nella mano destra e una lingua magica strappata dalla bocca di qualche rapper convinto. Ovvio che non c’è più alcuna sensazione, ma bisogna riconoscere che l’approccio è dei più cazzuti.
Demon #7 è la dimostrazione che, dopo molti eoni trascorsi a dormicchiare, diventiamo tutti un po’ dei grandi antichi. Il pubblico metallaro non può che inchinarsi e riconoscere a questi old boys dalla commistione facile un mestiere e una coerenza, oltre alla grana squisitamente grossa dei propri riff. Inevitabilmente quindi – respect!?