Tutti sappiamo chi è Wolfgang Van Halen ma nessuno vuol fare un giro sul suo mammut.
Mammoth WVH ovvero Mammut Wolfgang Van Halen, figlio di tanto padre Eddie, esatto. Chiaramente ci troviamo di fronte al consueto dilemma (con)sanguineo: ascoltiamo il figlio perché conoscevamo il padre, quindi il pargolo avrà attenzione e contratti discografici a prescindere. Purtroppo sarà quasi impossibile per lui riuscire a fare meglio del genitore: realizzerà un certo tipo di arte per tutta la vita, sarà sovraesposto al di là dei meriti effettivi e sarà sottovalutato al di là dei meriti effettivi.
Ma noi vogliamo sforzarci di analizzare Feel dei Mammoth WVH per ciò che è, vale a dire un brano rock modernista, con un buon piglio e una certa tensione, un ritornello intrigante e l’inevitabile sensazione di già sentito. Di buono c’è che Wolfgang Van Halen non guarda indietro al southern rock anni ‘70 o al vintage blues: cerca di esprimere se stesso partendo dall’esempio di band come Shinedown o Black Stone Cherry, quindi un approccio ipermelodico supportato da una produzione massiccia, suoni di chitarra cremosi e un’incessante ricerca di consensi.
Feel è un pezzo che si interroga sulla mancanza di empatia. In pratica Wolfie riconosce con un certo sforzo di essere un insensibile bastardo, alla stregua di tutti gli altri, ma non ne fa un vanto (come Marilyn Manson) e non scarica responsabilità sul governo (tipo i Sex Pistols). Lui – da bravo ragazzo divoratore di Nutella qual è – si domanda perché non provi niente per il prossimo.
Nutella, esatto. E sopra ho detto pure “chitarre cremose”. Ma per favore non tiriamo in ballo cyberbullismo o body shaming, al riguardo. La “paranza” di Van Halen, la paffutaggine ricondotta al nutrito gigadonte estinto con cui sono tanto in fissa i fattoni dello stoner-psych rock – il mammut appunto – sembra invece un riallaccio alla coerenza artistico-glicemica dell’antico polpettone di Meat Loaf. Sapete, no? Quando il rock prendeva il mondo a calci in culo in stereofonia.