Poesia in lento, spiazzante movimento.
I Low maneggiano i mezzi espressivi con una sicurezza che ha permesso loro di evolversi restando riconoscibili. Dallo slowcore che hanno in larga parte codificato a un personale classicismo (indie) rock, si sono confermati geni che raccontano lo scorrere del tempo e il mondo interiore ed esteriore. Prova ne sia la svolta che nel 2018 consegnava un Double Negative che tuttora divide critica e fan. Legittimamente, poiché il reinventarsi in maniera radicale dopo quasi venticinque anni di carriera è stato, oltre che coraggioso, assai spiazzante.
Qualcuno infatti non ha apprezzato una splendida reazione al nuovo medioevo dove la musica si apre progressivamente per suggerire una speranza tra cocci vocali, prospettive illbient, moderno gotico americano e psichedelia minimale. Un teatro dell’anima di estasi e tormento che possiamo considerare l’ennesima lucida profezia sonora dell’incubo che ci attanaglia dal 2020. Con una differenza non da poco, e cioè che in questo tunnel vedi sempre l’uscita. E che, parafrasando Battiato, il silenzio appartiene al rumore.
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Low: Double Negative Triptych
Amici che ti vogliono così così bene da sbatterti contro il muro e poi abbracciarti con calore perché sanno che è ciò di cui hai bisogno, oggi Alan Sparhawk e Mimi Parker spiegano a chiare lettere che la sterzata è qui per rimanere. La meravigliosa Days Like These è un folkeggiante, corale post-gospel cosmico in cui una versione terrena dei This Mortal Coil alterna distorsioni controllate, vuoti iperrealistici e relativa quiete.
Intenso e unico, è qualcosa che assomiglia a una catarsi compiuta con l’ascoltatore, dove la spiritualità è avvolta in un rigoroso bianco e nero per non distogliere l’attenzione. La prima strofa recita «Quando credi di aver visto tutto / scopri che viviamo in giorni come questi». Ecco: quando credi di aver sentito tutto, una nuova canzone dei Low ti leva il terreno sotto i piedi. Una band enorme, a dir poco.