Fuimos a bailar a la playa ma il DJ ha messo solo psych-rock francese.
I Limiñanas andrebbero insegnati a certi corsi online a cui la gente alla frutta si iscrive per imparare come far diventare la propria band scrausa un brand hipster superfico su scala internazionale.
1) Scegliere un nome che richiami un cocktail caraibico. 2) Seguire le orme di Rick Rubin, ovvero non piangere sul latte ormai versato dell’irrecuperabile stempiatura e concentrarsi su settori in cui la peluria è ancora baldanzosa – per esempio un bel barbone scapigliato quanto basta. 3) Attaccare un paio di amplificatori e farli friggere come si deve. 4) Martellare qualche minaccioso drumbeat rigorosamente limitato a rullante/tom/kick. 5) Suonare la stessa nota sul basso finché morte non vi separi dalla strameritata fama postuma. 6) Scrivere un giretto di chitarra accattivante e ripetere pure quello fino a quando, per sfinimento, suonerebbe accattivante anche il rumore di connessione di un modem a 56k del ‘98. 7) Prendere un tizio o una tizia (preferibilmente una tizia, come richiede il buon vecchio patriarcato) che con atteggiamento scazzato sputi fuori diabolici quanto ipnotici vocal drones. 8) Coltivare a condividere psychedelic vibes come se piovessero acidi (il che non necessariamente vuol dire farsi le canne a nastro, ma almeno dare l’impressione di farsele).
Insomma, fin qui tutto abbastanza facile. Il problema è quando vuoi fare un piccolo grande passo in più e rendere questa roba interessante. I Limiñanas erano già abbastanza avanti anche sotto questo aspetto. Da dieci anni ormai, infatti, vanno pompando un frizzante psych rock, aggiornato con un’affascinante aura oscura e un raffinatissimo french touch. In pratica, la loro musica è l’equivalente di una nuvoletta di fumo elegantemente sospesa contro un raggio di luce e filtrata da un bel paio di occhiali da sole da indossare – ci mancherebbe – anche e soprattutto quando la situazione si fa più buia. Cool, uh?
Ma spingersi oltre è un vizio più forte di loro e quindi eccoli metter su un team di eccellenze improponibili anche solo per accostamento teorico e portare il loro marchio di fabbrica alla luce di un afoso solo estivo, che picchia duro sulla cabeza, senza la protezione 50 che sarebbe necessaria. Ma questo è il rock’n’roll baby – il pericolo è il nostro mestiere e scottarsi il nostro pane quotidiano.
Chi meglio allora di Laurent Garnier nel ruolo di evangelista autoironico verso le folle post-pandemiche che si apprestano a invadere di nuovo le coste di Ibiza, in piena crisi di astinenza da strusciamenti di culi e panze sudaticce al ritmo del buon vecchio mantra “cassa dritta e su le mani”? E se proprio tormentone estivo deve essere, che sia di quelli veri. Perché c’è una sola cosa peggiore del tormentone estivo: il tormentone estivo latineggiante. Ecco quindi entrare in scena pure Edi Pistolas, carismatico frontman della band post-punk cilena (e ho detto tutto) Pánico, che porta alla causa quell’irresistibile non so che di sudamericano e inzuppa con maestria un paio di “cojones” e qualche “perros” in un mare di “fiesta”, “calor”, “vertigo” e “bailando”.
L’esperimento è intrigante. Mettere nello stesso minipimer il sound dei Brian Jonestown Massacre, una certa house balearica di alta classe, l’irriverenza dei primi Righeira e un testo che sembra partorito dal peggior sogno erotico di Elettra Lamborghini e Álvaro Soler. L’intento – per chi avesse ancora qualche dubbio – palesemente quello della presa per il culo. Ma attenzione: a prenderci gusto è un attimo. C’è addirittura un album intero in arrivo, e stai a vedere che finirà per piacerci come la prima caipirinha da vaccinati.
The Limiñanas Laurent Garnier Edi Pistolas Limiñanas / Garnier (feat. Edi Pistolas)