Qui, un tempo, era tutto black metal.
Era solo una questione di tempo – lo sapevamo – prima che i Deafheaven si trasformassero ancora di più in qualcosa di totalmente shoegaze, avvicinandosi (o tendendo) a un pubblico ben più eterogeneo di quello del black metal sognatore e melodico, rosaceo e post-rockeggiante che li aveva resi noti (e su queste note nostalgiche potrebbe partire Pecan Tree).
Great Mass of Color, però, non sembra deludere. E sotto sotto anche l’impatto à la Morrissey dato alla voce di George Clarke sembra quasi una buona idea. Bisognerà certamente vederlo abbinato a tutte quelle sue posture frenetiche e quel suo fare “teatrale” (che fortunatamente si è ammorbidito negli anni), ma stai a vedere che funziona.
L’ammorbidimento dei suoni non gioca a sfavore del climax epico, ancora una volta tinto dei colori tanto cari alla band. Dalle campagne black ai territori dei My Bloody Valentine è stato solo un saltino. Incolpando i tempi che corrono o inneggiando alla libertà artistica, i cambiamenti sono ormai sempre nell’aria e questo, appunto, non giunge certo inaspettato.
Quasi tutte le sfumature ormai sono state, in effetti, utilizzate nella tavolozza dei Deafheaven, ma probabilmente qualcosa dal loro cilindro salterà ancora fuori. Guardare indietro – forse e tutto sommato – non importa molto. Poi vai a sapere: magari il nero tornerà a piantare di nuovo il suo vessillo nei progetti della band di San Francisco, prima o poi.
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