Barocchismi black metal affacciati sulla laguna della Vistola.
Da quando il black metal ha cominciato a non essere più considerato una nicchia fatta solo di borchie, face-painting e sparuto pubblico da locale underground, ma – possiamo dirlo – ha cominciato a fare tendenza tra gente cool, il nome dei Behemoth ne è diventato un po’ l’emblema. L’architrave barocca ed estetizzante che ne ha certamente plasmato sempre di più la forma.
Ma non tutto il male viene per nuocere e – anche se per i fan di vecchia data, alcune plasticose trovate possono sembrare (ehm) mainstream – tutto sommato la band di Nergal ha saputo mantenere, se non altro, uno standard qualitativo di sicuro impatto scenico. L’immaginario e la produzione di serie A hanno infatti giocato a gran vantaggio della band di Danzica, come testimonia una produzione video sempre più attenta e curata (Bartzabel, O Faher O Satan O Sun!).
Shadows Ov Ea Cast upon Golgotha ripercorre le pose di Caravaggio e il consueto quanto truculento immaginario gotico-biblico, risanando il confine che è sempre esistito (anche se molto sottile) tra metal satanico e sangue di martirio. Senza contare Giuditta e Oloferne di Artemisia Gentileschi e altri sicuri riferimenti in ambito pittorico che diventano materiale di speculazione aggiuntivo, così come la ripresa di certi stilemi – in generale assai forzati – come l’Ov, che di certo non è attestato come forma arcaica in inglese. L’estetica, prima di tutto – questi sono i tempi.
A ogni modo ancora una volta Nergal e soci sembrano aver colpito nel segno, non disdegnando la deriva più morbida e melodica e puntando l’all-in sul banco di un impatto che possiamo definire tutt’altro che minimale. La mistura di cuore e melodia che c’era in The Satanist sarà merce dura da recuperare, ma poco male, visto quanti ormai hanno messo i polacchi sul piedistallo. E non sono decisamente in torto.
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