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Una volta alla settimana compiliamo una playlist di tracce che (secondo noi) vale davvero la pena sentire, scelte tra tutte le novità in uscita.

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A volte è necessario approfondire. Per capire da dove arriva la musica di oggi, e ipotizzare dove andrà. Per scoprire classici lasciati indietro, per vedere cosa c’è dietro fenomeni popolarissimi o che nessuno ha mai calcolato più di tanto. Queste sono le storie di HVSR.

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Automotion: Mind and Motion
L’espressione sveglia è quella di papà, ma l'haircut quello di Damon Albarn

Come se il figlio di Max Pezzali mettesse su una cover band dei Massimo Volume.

La storia ci è testimone: quando nasci figlio d’arte seguire le orme dei parenti (che siano cari, cari estinti o anche solo serpenti) è quasi un obbligo. D’altra parte, quello ti è toccato in sorte come ambiente in cui crescere e quelli come riferimenti e modelli educativi. E poi comunque a fisica e matematica avevi quattro già alle elementari, anche se la frequenza con cui la maestra ti dava note di demerito da far firmare a mamma e/o papà era in ogni caso ingiustificata e che per arrotondare rivendesse gli autografi su eBay più che un sospetto.

Sia chiaro: per quanto quasi forzata, nessuno dice che sia una scelta facile, cercare di sfondare nello stesso settore di chi ti ha messo al mondo. Sarai sempre e innanzitutto il “figlio di”, dovrai fare – sotto certi aspetti – una fatica doppia degli altri per affermare un minimo della tua identità e quel nome che ti porti sul groppone sarà un peso che ti rimarrà tatuato sulla schiena vita natural durante.

Figuriamoci poi se tuo padre è il tizio che cantava negli Oasis e – giusto per confermare la sua fama di megalomane patologico – ti ha chiamato come uno dei Beatles. E bada bene, non John come John Lennon. Lennon, come John Lennon. Finisce che di nomi pesanti sul groppone te ne trovi due e il fatto che siano in realtà due cognomi non farà altro che servire su un piatto d’argento la battuta a chi ha intenzione di prenderti per il culo.

Anche sulla base di ragionamenti che non fanno una piega come questi, immaginiamo che Lennon Gallagher abbia deciso infatti di provarci prima con la carriera di modello. Tanto, potendo permettersi Patsy Kensit come madre, l’assioma di partenza rimaneva in tutto e per tutto valido. Evidentemente però il sopracciglio importante e la non-pettinatura britpop non fanno più l’effetto che facevano nel ‘95, almeno sulla passerelle fashion. Così ha optato per il piano B e ha fondato la sua band.

Oddio, “fondato” forse non è la parola giusta. A quanto pare “si è unito” alla band di un gruppo di amici. Non è infatti chiaro quanta sia l’acqua portata dal maggiore dei piccoli Gallagher al mulino già messo su dal compagno di scuola Jesse Hitchman, insieme al batterista Otis Eatwell-Hurst e al bassista Luke Chin-Joseph. Oltre al nome che ha impresso sul groppone e la bella faccina sicura di sé con cui si pone davanti al pubblico, s’intende – dicono le malelingue.

Fatto sta che l’EP di debutto degli Automotion – per quanto derivativo come c’era da aspettarsi – denota un buon gusto impeccabile e soprattutto deriva in direzione completamente e sorprendentemente sbilenca rispetto al genere che padre e zio hanno saputo portare in cima alle classifiche quasi trent’anni or sono. Guarda infatti a Slint, June of 44 e For Carnation in primis. A Mogwai ed Explosions in the Sky solo in parte, ma subito a seguire. Arpeggi tesi, riff wave-psych pronti a detonare distorti e un cantato catatonico che quando c’è fa la sua figura, quando non c’è… quasi meglio.

Ve li ricordate gli sketch Liam Gallagher vs Cute Kids? Ecco, parafrasando la cosa, potremmo intitolare questa nuova avventura Liam Gallagher’s Cute Kid. Fa meno ridere e non riassume a pieno le potenzialità del progetto, ma potrebbe promettere meglio di quel che si crede, sulla lunga distanza.

Automotion Oasis Liam Gallagher Noel Gallagher 

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