Non perdere tempo a provare la maschera. Guarda lo specchio e rompilo!
Tra le molte derive di un certo modo di fare punk, quella seriosa con contenuti lirici tutt’altro che leggeri andava solitamente a contrapporsi ai prodotti più scanzonati. Una sottile ma netta linea di demarcazione che separava le cose che colpivano lo stomaco da quelle che, semplicemente, facevano ballare. Anche se va detto che non è sempre stato così, soprattutto agli albori del genere, dove Pistols, Penetration o X-Ray Spex riuscivano a veicolare messaggi appoggiandosi su musica tutto sommato orecchiabile.
È comunque un approccio vintage quello dei Mannequin Pussy – americani con base a Filadelfia attivi dal 2010 – che, facendo perno su un pezzo punkettone tirato e saltellante, descrivono in maniera amara e cinica la trasformazione dell’uomo moderno, ormai sempre più risucchiato nel proprio alter ego utopico da dover esporre a tutti i costi sui social media. Una maschera che – come un novello Dorian Grey digitale – più diventa sfavillante e glamour, più nasconde un disagio e una disperazione di fondo, dove ai migliaia di like virtuali si contrappone una solitudine alienante e spersonalizzante nella vita reale.
Di certo non un testo frizzante e pieno di brio, ma il modo diretto ed esplicito con cui la band della Pennsylvania lo apparecchia sul tavolo della coscienza personale è estremamente efficace proprio perché tradisce: prima il piedino batte gioiosamente, ma una volta capito il senso i movimenti finiscono per diventare inesorabilmente più nervosi e pregni di rabbia.
Il punk, dicevamo, doveva far pensare prendendosi gioco dei sensi. 45 anni dopo, se fatto come si deve, non ha perso questa sua funzione.