Incendi di bassa stagione pronti a salvarvi dalla pinguedine in vista di un’estate imbavagliata.
Degli splendidi metallari cinquantenni che non vi dico, ecco chi sono i Flotsam and Jetsam. Molti non ricordano nemmeno dove li abbiano sentiti nominare e li aiuto io: erano la band sfigata e destinata all’oblio da cui i Metallica raccattarono Jason Newsted nel 1986. Molti altri di meno invece sanno bene chi sono e non possono che dissentire dalla pesante definizione di cui sopra. Oblio? Sfigati? Malimorté! Del resto un brano come Burn the Sky canta e rulla chiarissimo. Questi tizi l’oblio se lo sono sodomizzato e la sfiga… beh, quella è ancora lì che si beve una birra dopo l’altra, ma tant’è, come dice chi non sa chiudere una frase.
Sia chiaro, un pezzo che parla di bruciare il cielo in battere è giusto una specie di bignamino power thrash degli anni ‘80-‘90 di quattro minuti e rotti. Nulla di particolarmente nutriente per l’intelletto in cerca di stimoli candariani, ma un simile sfoggio di robusto artigianato – fiero e manesco – era da un pezzo che doveva sentirsi in giro. Insomma, guardateli, sono dei papà in libera uscita in qualche bosco sardo a luglio, ma se chiudete gli occhi è evidente quanto il potere della musica riesca a sollevare, in un lampo di tapping e qualche spruzzo di lava laringiaca, gli infami ormeggi del tempo, lanciando la flotta fantasma a caccia di ammiragli Nelson e bracci di ferro napoleonici.
Il metal dovrebbe essere questo qui. Non è la tipologia di riff e tantomeno il sound. Non sono i dosaggi carbonari e la veemenza nichilista a indicare la giusta tempera della musica più rebelde di tutte quante, ma la maledetta attitudine, supportata da uno stato fisico impermeabili ai cozzi e alle scuse. Se ascoltando Burn the Sky vi esce la voglia di menare la vita, allora ha ancora un senso sbattersi così tanto nonostante le borse sotto gli occhi e l’inferno che si scoperchia annoiato davanti all’ennesima evocazione in quattro quarti.