Storie dalla sincerità quasi aggressiva, e un timbro vocale di cui non si vede il fondo.
Nato nell’Oregon, cresciuto in California, nutritosi del folk e del songwriting americano più classico, e con un timbro di voce che (lo so, è la prima cosa che viene in mente) ricorda abbastanza da vicino Eddie Vedder – almeno quello degli ultimi 15-20 anni, scopertosi cantautore acustico dai toni profondi come un pozzo. Questo è White Buffalo, al secolo Jake Smith. Raro e imponente come un bufalo bianco, appunto, ci tiene a presentarsi come un teller of stories.
Qualcuno se lo ricorderà per Sons of Anarchy – serie dalla soundtrack sfavillante – in cui è presente con un’intensissima versione del classico House of the Rising Sun, qui adattata anche nel testo. Spero di non bestemmiare dicendo che a momenti la preferisco a quella – strafamosa, giustamente celebrata – degli Animals.
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Ad aprile dello scorso anno è uscito l’album nuovo. Questa, invece, è una bonus track finora presente solo in formato fisico nell’edizione UK, e da pochissimo disponibile pure in streaming.
Ritmo rotolante, melodia sincera, atmosfera semiacustica: gli elementi ci sono tutti, e c’è pure quella disperata voglia di redenzione tipica del bufalo, che aleggia in mezzo ai versi con cui chiede conferme: «Do you mean it now? / There ain’t no guarantee / Am I lost in you? / Are you lost in me? / Or is it a fantasy?».
Non è chiaro se, come la sua stessa biografia ci dice, il timbro di White Buffalo sia davvero «direttamente connesso a una verità più alta». Quello che arriva è una brutale sincerità, quella nuvola di spaesamento in cui ci si trova buttati quando un artista si mette a nudo di fronte a te, e che in alcuni – che percepiscono quella splendida nudità come repellente e spigolosa – genera un senso di paura. Senza accorgersi del fatto più importante: quella paura è la materia di cui dovrebbe essere fatta la vita, in tutta la sua instabile meraviglia.