Quella Brooklyn che sogna di tornare rurale. E, almeno in musica, ci riesce.
Gli Antlers restano un piccolo nome di culto per la scena indie internazionale. Quella autentica, naturalmente. E Green to Gold – che arriva a sette anni dall’ultimo Familiars – non è nulla se non una conferma del valore della band newyorkese. Intriso di tutto quel silenzio di cui si è nutrita l’anima del suo cantore protagonista, reduce dalla prova solista e minimalista di Impermanence e di nuovo in coppia con il fido Michael Lerner.
La title track del lavoro riassume tutte le tonalità folk da falò in una radura desolata, colorata dalla performance di danza contemporanea del videoclip, e dalla sua narrativa concettuale che segue tutto il disco. Una certa atmosfera rurale e folkeggiante prende possesso di tutta la narrazione e regala attimi di sicuro impatto bucolico, appaganti anche e soprattutto per i ritrovati fan del neo-western (chi ha detto Yellowstone?!).
«And just like that, summer’s on the outs / Cicadas swim around the house / Crickets clicking down the block / While we are on an early morning walk.»
Se i tempi più cupi e meditabondi di Hospice, così come la maggiore forza sonora del passato, sembrano superati, le malinconiche peregrinazioni liriche di Peter Silberman restano sempre ispirate e capaci di fare davvero la differenza. La suadente orchestra indie di sottofondo (accreditata a duo) ripercorre tutto quello che c’è da fare per dare ai fan quel cantautorato emozionale tutto americano, che marchia appieno il successo dei bardi di Brooklyn.
Bentornati aigli Antlers, dunque. Dal loro fare pacifico – o meglio pacificato – non è semplice stare lontani. Così come non è stato semplice, per una band tanto raffinata, riuscire a raggiungere tale semplicità. Un po’ – per usare l’ironico, ma non troppo, paragone proposto da Silberman stesso – come A Straight Story di David Lynch.