Il pop cattivo che banga!
Questo brano è un ottovolante a spirale, vi basta saltare in sella a uno dei riffoni e via, verso il vostro subconscio. I Pop Evil vogliono tirarvi dentro voi stessi fino al nocciolo della questione: il mefitico garbuglio di tutte le vostre oscure deficienze e buone volontà. Non potete sperare di uscirne edificati, sarete anzi demoliti, fatti a pezzetti e lasciati in terra come briciole residue della scorpacciata di un indifferente titano, ma dalle macerie potrete ricominciare a comporvi in qualcosa di più sano.
Set Me Free è l’anello di congiunzione tra il vecchio nu-metal e il post neo-rock, e se la cosa vi suonerà improbabile è più che comprensibile, esattamente come le vie perscrutabili di un genere che ormai sta scrivendo geroglifiche lettere d’addio alle civiltà future, direttamente dal fondo del barile. Il rock deve abbandonare l’inaridita e per sempre fottuta vena blues, aggrapparsi vampiricamente a qualcosa di nuovo, che sia il bidello elettronico delle viscere della dodecafonia o magari le rumbe etniche di qualche sperduta tribù amazzonica.
I Pop Evil tornano su un mercato costipato e altamente infettivo. Il loro sesto album Versatile è stato già salutato con grande interesse ed entusiasmo (tutti i singoli sono fissi parecchio in alto nelle chart internazionali) da un pubblico in cerca di riffamina e di un Multicentrum anthemico buono per lo smaltimento lipidico accumulato a botte di comfort food e sedentarietà streaming, durante le intermittenze della movida. Set Me Free è un incoraggiamento a depurarsi, spargere le tossine nel fondo della cesta dei vestiti sporchi e rimirare con sguardo di sfida un futuro che promette tante cose, ma niente di buono.