Continuare a crescere senza invecchiare, o comunque invecchiando bene.
I Gojira sono uno dei pochi gruppi a tenere ancora in piedi quel discorso di evoluzionismo metallaro interrottosi intorno alla metà degli anni zero, quando le band di nuova generazione hanno rinnegato le commistioni figose, le chitarre a sette corde, l’esistenzialismo e si sono tuffate in un gigantesco tino di cervogia, annegando in vecchie memorie mai vissute direttamente. La band francese invece seguita il proprio percorso ridefinendo ancora la propria identità. Qui sembrano i Machine Head senza la spocchia di Robb Flynn, e non è cosa da poco.
Born For One Thing è un misto di vecchio thrash migliorato, dilatazioni rumoriste e aperture melodiche quasi industriali, ma principalmente è una gran canzone che crede ancora nel ritornello emozionale, nonostante l’impalcatura irrequieta e l’andazzo un po’ algido. C’è l’abrasione sperimentale delle nuove band da cameretta e il sudore, il sangue, la saliva e le altre espressioni fisiche di una sonorità carnale, impervia ed emotivamente pesa che ormai il COVID ha mandato in pensione.
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La band farcisce il brano di una valanga di passaggi che sono come dei siparietti tra uno sprazzo di luce e una coltre di stelle morte, e dalla biologia imbalsamata del video finisce per rappresentare un bel cimitero di rifferismi alla Sepultura, Meshuggah, Pantera e Prong, che suonano come i ruggiti e i barriti di tigri ed elefanti rievocati dei bei giorni selvaggi di una giungla ormai diserbata.