L’orrore cambia pelle e si veste di fulminanti scosse latex.
Sembravano destinati a grandi cose gli Horrors. Dopo un debut che fece rizzare le orecchie degli appassionati di mezzo mondo, ogni uscita veniva guardata con curiosa ammirazione e il loro nome rimbalzava su tutte le riviste che contano. Poi però l’hype è sfumato, gli anni sono passati e il mainstream si è dimenticato di loro.
Eppure la carriera dei ragazzi dell’Essex ha continuato a regalare dei gioielli musicali incredibili, in uno sviluppo artistico dove il motto è sempre stato “non fossilizzarsi”. Dal garage/horror punk, passando per il post-punk e lo shoegaze, sino ad arrivare all’elettronica raffinatamente sghemba, per poi fare un tuffo nel synth pop, ognuno dei cinque album sinora pubblicati ha mostrato diverse facce del mondo Horrors.
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Cosa ci si poteva aspettare dunque dal prossimo disco? Semplice: una nuova sterzata. Lout, antipasto gettato ai fan senza il minimo preavviso, è una bordata industrial dove gli stilemi classici della band sono ricoperti di strati elettronici ruvidi e pesanti. Non ci sono ritornelli da imparare a memoria né melodie orecchiabili da canticchiare mentre ci si fuma una cicca: solo un vizioso assalto sonico degno degli Skinny Puppy che fanno un’orgia con Manson e Reznor dei tempi d’oro, mentre i Ministry con Al pre-rasta stanno a guardare compiaciuti.
Qualcosa che davvero non ci si aspettava e che stupisce piacevolmente per la genuinità: la band non si è snaturata e non sta scopiazzando nessuno, semplicemente continua a esplorare quel labirinto infinito che è la musica, traendone ispirazione da piegare al proprio bisogno artistico d’espressione.
Già, sembravano proprio destinati a grandi cose, gli Horrors. E per chi sa ascoltare e andare oltre al trend del momento, Lout ne è la lampante dimostrazione.