Elementi apparentemente schizofrenici creano un cantautore acustico risolto, integro e calmo.
L’ho conosciuto diversi anni fa. A memoria, era il 2006. Heartbeats stava avendo una certa risonanza, con tre anni di ritardo sulla sua prima uscita insieme all’album Veneer, ed era una cover dei The Knife. Duo che – spesso accade, per le riletture migliori di pezzi di altri – come suoni non c’azzecca assolutamente niente con José González. Per intenderci, Fever Ray, la voce dei The Knife, ha scritto quel capolavoro ipnotico e inquietante, tra elettronico e orchestrale, che è If I Had a Heart (chi vedeva Vikings ci riconoscerà la sigla, peraltro dall’atmosfera che si adatta perfettamente al tono della serie, ma c’era un periodo in cui la usavano tutti – c’è pure in Breaking Bad). La cover, invece, è acustica, suonata fingerstyle, piano e soffice, e crea una nuvola di quiete profonda intorno a te alle prime note.
È argentino-svedese (riuscite a immaginare qualcosa di più yin e yang?). È cresciuto ascoltando musica popolare latina e pop in genere, e come voce preferita cita il cantautore cubano Silvio Rodríguez. Ha cominciato in una band hardcore-punk. È PhD in biochimica. Tutti elementi che sembrano produrre fra loro lo stridio delle unghie sul vetro e dipingere, nel complesso, il quadro di una personalità schizofrenica. Invece, a sentirlo suonare e cantare, José González incarna la calma. E la genera, nemmeno fosse una figura di yoga eseguita con leggiadria in un tramonto d’estate, con una brezza leggera sulla pelle.
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A ritrovarlo (dopo sei anni di silenzio dall’ultimo album), ci si accorge che non è cambiato poi tanto da allora, da quel debutto con già dentro il suo stile quieto. Qui canta in spagnolo, chiaramente, ma il mood è esattamente lo stesso. Distende le membra, rallenta il battito cardiaco, sussurra lontano e delicato come seta e accompagna con un tappeto di arpeggi puliti e cullanti, e ci parla dei contrasti nella natura del mondo, fatto di meraviglia e orrore, pace e conflitto, contrasti che lui evidentemente conosce e in mezzo ai quali è riuscito a trovare un posto ideale per esprimersi.
Chi l’avrebbe detto che la pace interiore stava dentro El Invento?