Dai cipressi sulla collina all’oscurità delle catacombe.
Nel ruolo di producer di lunga data – ormai più che scafato e quindi, anche giustamente, più che scazzato di sentire sempre la solita roba, non solo dentro la sua per quanto ampia ballotta, ma pure fuori – e di architetto ufficiale di ogni minimo granello sonoro uscito a nome Cypress Hill, Lawrence Muggerud ha contribuito a dare una bella spinta al rap anni ‘90. In pratica l’ha preso per un orecchio per tirarlo fuori dal tunnel del divertimento e spingerlo a forza verso postacci privi di luce e dimenticati da Dio.
Ecco, invecchiando, questa sua tendenza naturale certo non è migliorata o ha in qualche modo smussato i suoi spigoli. Anzi, quite the opposite, commenterebbero dalle sue parti. Per dire, ha collaborato col povero MF Doom, scritto album interi con gente quantomeno underground come Roc Marciano, Mach-Hommy e Tha God Fahim, fatto l’occhiolino alla dubstep e al trip hop più dark. Non che sia mai stato represso, insomma, ma diciamo che ora ha deciso di lasciare che il suo lato oscuro ufficializzasse il coming out e si fa chiamare DJ Muggs the Black Goat.
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Senza dover per forza sottolineare l’immediata, evidente e palese relazione tra l’iconografia del Maligno e gli sgozzamenti di capretti innocenti, la tentazione di immaginarsi B-Real che gli telefona per sussurrargli dall’altro lato della cornetta «wouldst thou like the taste of butter?» è tanta. Lui, d’altro canto, fa di tutto perché la cosa non passi inosservata e – un esempio a caso – intitola il disco nuovo Dies Occidendum, apparecchiando così subito la tavola per un’atmosfera da caccia alle streghe, pesante quanto il ricordo del timore di essere chiamati alla lavagna durante l’interrogazione a sorpresa in latino, ma allo stesso tempo morbosamente affascinante al pari di un programma di Carlo Lucarelli sulle Bestie di Satana.
Nigrum Mortem è il secondo singolo, e anche questo – ancor prima di deliziarci con un video fatto di immagini di repertorio, graphic design da Necronomicon e un’iconografia degna di Gente nell’arte medievale che muore male e non gliene frega niente – già con il nome porta il lato oscuro di Star Wars in un tripudio di minacce ronzanti, accordi di organo che fanno accapponare la pelle e chitarre psichedeliche che non si può esser sicuri ti amino ma se non altro ti fanno quella cosa che ti piace con la lingua. In mezzo, samples sgrezzati al solito in maniera portentosa e un flow che si alterna – come se non ci fosse stato uno ieri – a spezzoni narrati in una lingua morta ammazzata.
Funny (si fa per dire) fact. Il tutto esce per Sacred Bones (come avrebbe potuto essere altrimenti?) e la cosa certifica un salto di carreggiata mica da poco. Riassumendo: il tizio che una volta era stato responsabile di Jump Around ora divide l’appartamento con ragazze da sposare come Zola Jesus e Pharmakon. Non bastasse, se gli chiedi con quali parole definirebbe la musica che scrive adesso, ti risponde «la colonna sonora di un film che ancora non esiste». Il che, se consideriamo che John Carpenter ha da poco firmato per la stessa etichetta, potremmo dire chiude il cerchio magico.
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