Un viaggio in taxi fra pensieri senza logica, impossibile da fermare.
Avete 11 minuti, possibilmente serali? Impiegateli per sentire il nuovo (aperte molte virgolette) singolo (chiuse molte virgolette) dei Tindersticks. Guardatevi pure il video, che altro non è che il punto di vista dal retro di un taxi londinese di notte – «a particular kind of aloneness», per dirla con le parole del cantante Stuart Staples – perdetevici, lasciatevi annegare nelle luci della città, aloni che rischiarano volute e tentacoli di pensieri senza un filo logico.
Le molte virgolette fanno chiaramente riferimento al fatto che questo pezzo è la perfetta dimostrazione di cosa non scegliere come singolo apripista per un album, un po’ per la durata, un po’ perché è fondamentalmente un mantra ossessivo degno del figlio degenere di un matrimonio altrettanto degenere fra i Talking Heads e i Television, retto dal basso, da un groove sempre uguale e animato da tante, piccole, moleste incarnazioni di Staples.
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Per chi è rimasto ai primi lavori e a quel delizioso mix fra Cohen, Nick Cave, le parti di orchestra e i violini acidi alla Velvet Underground, la prima reazione sarà di shock (e sì, siamo pronti a riutilizzare questa frase senza memarla, credo). Ma dopo qualche minuto di ossessione il pezzo entra a gamba tesa nei tuoi sogni più oscuri e solitari, li solletica e li riporta alla coscienza, e capisci che non puoi più farne a meno. Can’t Stop the Fadin’, appunto.
«Questa canzone è sempre stata un viaggio, ma non immaginavo finisse per essere un viaggio così lungo». Come già qualcuno, i Tindersticks ti invitano a farti una corsa con loro, e ci si accorge che è impossibile rifiutare. Allora, tassametro permettendo, avanti così.