Ritorno alle radici per l’inventore dello shock rock.
Cinque secoli fa, nell’Elogio della follia, Erasmo da Rotterdam scriveva: «Quanto più un uomo invecchia, tanto più si riavvicina alla fanciullezza, finché lascia questo mondo in tutto come un bambino al di là del tedio della vita e al di là del senso della morte».
Certamente nessuno vuole augurare una fine precoce al signor Vincent Fournier, ma è certo che nel nuovo album il ritorno al (suo) passato sia lampante, partendo dal titolo. In Detroit Stories parla della sua città natale, e lo fa a modo suo usando come medium quel suono che ha reso celebri la Alice Cooper Band negli anni ‘70 e gli ha tolto qualche soddisfazione da solista in alcune fasi degli ‘80. Basterebbe sentire e guardare il clip del brano uscito poco tempo fa come teaser, Our Love Will Change the World per ritrovare l’ironia sarcastica e tagliente del caro vecchio Alice che torna a gamba tesa sulle flebili aspettative dei fan di vecchia data: mai una rotula spezzata poteva dare più piacere.
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La verve non è mai mancata all’uomo con il pitone (non fate battutine ora, su), ma stavolta suona più convinta, grazie anche a un songwriting d’altri tempi che davvero non può non emozionare. Esempio lampante è questa Social Debris, viziosa e calda con un testo pungente ma mai sopra le righe, che pizzica velenosamente lo stato attuale delle cose senza scadere nel banale, sorretta da una serie di riff da manuale e un’interpretazione che sprizza Cooper da ogni poro. Perché l’utilizzo della metrica e la musicalità delle parole usate per amalgamarsi al suono erano e restano una delle caratteristiche chiave di Alice, il cui personaggio pittoresco ha troppe volte oscurato il suo talento nella composizione e nel dare vita propria ai brani.
Un ragazzino con qualche ruga forse, ma che sa ancora colpire deciso e lasciare il segno. Solleviamo la tuba al cospetto di una delle poche rockstar ancora degne di questo nome.