Apparentemente satanici, ma con intenti de arta curtura.
Nati nel 1997 e poi periti, reincarnati, stazionanti nell’ombra in un sonno senza sogni e poi ancora tra noi, i Magik Way di Alessandria riemergono con un disco che si intitola appunto Il rinato e – per quanto la frettolosa congerie di etichettisti e marchettisti del mercato musicale non esiterà a infilarli nel cestone discount del black metal nostrano – qui si parla di folk, almeno per quanto riguarda questo brano, in cui una liturgia terrigna rigurgitata dal cuore del suolo è ammantata di frasche secche e arrangi etnici.
Le Vampe ricorda l’esperimento di musica rituale uscito nel 2016 e che tutti gli appassionati di giochi di ruolo satanici dovrebbe recuperare: Rituals. Ma nel caso dei Magik Way si va oltre: non è una vacanza dal popular black nelle melme sconsacrate di antiche dimore ecclesiastiche, ma un tentativo riuscito di tradurre in musica l’afflato sabbatico più audace e liberatorio.
L’euforia di cui è schiavo l’uomo è solo un’altra prigione da cui sgattaiolare. L’incedere e incalzare del pezzo racconta il suo drammatico rivolgimento, setacciando le fiamme di una natura furiosa e avvolgente, che finirà per restituirgli un mondo deforme: rivelazione definitiva di una realtà vista non più con gli occhi frenetici del moderno schiavo, bensì con quelli lucidi del superstite scampato.
Cresciamo euforici, travolgendo il mondo. Le macerie della nostra vita ci attendono alla fine del giorno in cui smetteremo di agitarci inutilmente.