Lo straniero della porta accanto.
In Portogallo si beve ginjinha mentre si ascoltano leggende locali come Mão Morta, Pai Melga o Rua Do Gin. In Polonia si preferisce la Zubrowka da sorseggiare sulle note di Madame, Made in Poland o gli indimenticabili Siekiera. Due mondi apparentemente agli antipodi, ma con svariati punti in comune.
Renato Alves, portoghese trasferitosi a Cracovia è il deus ex machina dietro al moniker Mekong, che con Industria va a pescare a piene mani nel post-punk anni ‘80 e nel goth meno manieristico per buttarci in faccia l’alienazione provata nel trovarsi straniero in terra straniera. Joy Division e Cure come luci guida e un gusto per l’ossessività positive punk a fare da motore trainante. Il tutto trasportato nei vicoli gelidi dei giorni nostri, dove l’overdose di comunicazione verso chiunque nasconde in realtà una solitudine e un’aridità d’animo che non ha eguali nella storia dell’uomo.
Impossibile rimanere indifferenti di fronte al mantra ipnotico di un pezzo del genere, polaroid asettica di un’estetica che è espressione visiva di uno stato emotivo altrimenti indescrivibile.
Semplice, scheletrica, efficace.