Il ritorno del cyborg senza età.
Gary Numan ha 63 anni e fa questo mestiere da 44. Come i gatti in fila per sei col resto di due.
Noto per le quattro dita di cerone in volto a coprire le cicatrici dell’acne e gli occhi cerchiati di nero, ha cominciato a perdere capelli sin da giovane ma a differenza di molti suoi colleghi non ha mai nascosto di essere ricorso più volte a trapianti e parrucche. Escamotages estetici che per molti possono essere discutibili ma di sicuro hanno avuto un effetto evergreen sulla sua immagine.
Allo stesso modo, Gary è riuscito a rinnovarsi più volte lungo la carriera, magari non raggiungendo più le vette compositive e il successo in classifica di classici come Cars o Down in the Park, ma continuando a incuriosire e appassionare sia i fan di vecchia data sia le nuove leve che si sono avvicinate a lui in varie fasi del suo percorso, il tutto senza mai perdere davvero di vista il succo della questione: qualsiasi cosa abbia fatto – seppur nuova o diversa – ha (quasi) sempre suonato terribilmente Numan.
Il discorso vale anche per questa Intruder, figlia legittima dell’approccio più industrial che ha sposato nell’ultimo decennio, dove – tra strizzate d’occhio a Reznor e Zombie – il suo trademark sonico la fa comunque da padrone regalandoci il solito – prevedibile, ma egualmente irresistibile – refrain che si incolla in testa senza andarsene più.
Niente male per un vecchietto con la sindrome di Asperger.