Fenici elettriche (ri)sorgono in isolamento.
Il COVID-19 e le conseguenti limitazioni (leggi: lockdown) hanno indubbiamente rovesciato il mondo della musica, che di fatto si è congelata. Spazzate via le routine, cancellati i progetti a breve, medio e lungo termine, messa in discussione la stessa sopravvivenza, le band si sono trovate a un bivio: scegliere di fermarsi in attesa che accada qualcosa ingannando il tempo con streaming e riproposizioni di vecchi cavalli di battaglia (propri o altrui) o cogliere l’occasione per reinventarsi.
La seconda opzione è quella che hanno scelto i Dead Naked Hippies, trio di Leeds che in questi mesi di pandemia ha deciso di mettersi in discussione, spingendo il pedale della sperimentazione senza rinnegare completamente le proprie radici.
Il risultato è Curiosity (Dawn), un muro di synth analogici e distorti su cui la voce apparentemente fragile di Lucy Jowett si pone le sempiterne (e mai come oggi attuali) domande sul significato di essere umani e vivi. Di certo non un brano consolatorio, ma forse proprio per questo estremamente efficace nel suo dipingere con innocente crudezza le fragilità di ognuno che, in un modo o nell’altro, mai come in questi mesi si sono fatte evidenti e dolorose.
Una canzone non facile che potrebbe fungere anche da segnale d’allarme: ascoltare il brano e leggere il testo limitandosi a liquidare il tutto come “una canzoncina elettro-pop” sarebbe solo la cartina al tornasole di una società in completo declino, umanamente e filosoficamente.