Un ultimo sguardo indietro per fare a pezzi ciò che resta (se stessi compresi).
Il 2020 secondo i Cro-Mags, o ciò che ne rimane. A vedere le immagini allucinanti del clip, la prima cosa che viene in mente è quanto questo mondo sia diviso: poliziotti e cittadini, bianchi e neri, trumpiani e no, malati e sani, mascherati e negazionisti. Anche la band di Flanagan però, paradossalmente risponde agli input di questo habitat scissionista, sdoppiandosi. Esistono questi Cro-Mags per esempio, ma ci sono anche i Cro-Mags JM, ovvero quelli di John Joseph e Mackie Jayson: rispettivamente il vocalist e il batterista storici, finiti in una zuffa legale con Flanagan per uso improprio del marchio.
2020 è perfetta per sintetizzare il senso di rabbia e frustrazione di un mondo che si sta accartocciando su se stesso, come se un dio stanco avesse finito per appallottolarlo e lanciarlo in un grosso cestino apocalittico. E quel dio ascolta i Cro-Mags, verrebbe da dire.
Il brano ci aggredisce ma non per annichilirci. Flanagan vuole scuoterci, tirarci su e spingerci nella mischia (in senso metaforico, visto il divieto di assembramenti). Due minuti e rotti di violenza temperata da un giro drammatico che ricorda i Dream Theater anni ‘90, anche se la voce bovina del bassista irrompe e afferra le redini metallare del brano, spingendolo sul binario hard-core vecchia scuola. Le parole vengono masticate e sputate in faccia a questo mondo disinnescato in una piovosa democrazia di like, dove – appunto – c’è un like per tutto, anche ciò che non ci piace proprio.
2020 è un tozzo verro sonoro che razzola su se stesso un po’ ottuso. Un’ottusità che sa di nobile ostinazione. Il pezzo gira nella spirale dei tre accordi e sale verso un cielo di lampi e odio, mentre filamentose chitarre arabeggianti avvolgono come ragnatele la decrepita torre di Babele in cui siamo arroccati.