Case study: come rendere omaggio a una dea.
Tempo fa, quando una band tagliava il traguardo dei dieci anni, celebrava il tutto con una compilation (Decade dei Duran Duran o Decade of Decadence dei Mötley Crüe) o con un live (Decade of Aggression degli Slayer). Titoli in inglese come questi, uniti al testo in latino della splendida Finistère dei C.S.I., hanno creato un corto circuito nella nostra lingua, dove il termine “decade” è diventato erroneamente il sinonimo di decennio, mentre in realtà significa dieci giorni.
Tutto questo per ricordare che sono passati due lustri dal demo di debutto delle capitoline Winter Severity Index. Dieci anni sono tanti, eppure volano in un battibaleno. Una crescita artistica che ha portato Simona Ferrucci e Alessandra Romeo a suonare sui palchi più importanti d’Europa e pubblicare lavori sempre più convincenti ed efficaci. Tranne quest’anno.
Per ovviare alla carenza di concerti, in questi mesi si sono susseguite diverse iniziative streaming, tra le quali svariate edizioni del Gothicat Festival, dove band più o meno note della scena oscura portavano pezzi inediti o concerti da casa fatti ad hoc. È in questa occasione che le WSI hanno deciso di approcciarsi alla rilettura di un classico minore di Nico.
Purple Lips è uno splendido brano che ha avuto una gestazione complessa. Proposto inizialmente in una trasmissione televisiva francese nel 1975, venne ripreso sull’album Drama of Exile – disco dalla elaborazione travagliata al punto tale di essere uscito sia nel 1981 sia nel 1983 con due registrazioni differenti, anche se nella seconda versione il brano in questione è assente. Nelle mani delle Winter Severity Index diventa una densa ma impalpabile elegia che fonde shoegaze e new wave tastieristica in un connubio che potrebbe essere definito dream pop, a patto che l’accezione dream sia sostituita da nightmare. Poetica, struggente, entra sorniona nello stomaco per poi aprirsi piano piano e non uscirne più.
La maturità di una band si misura anche dal modo in cui le cover vengono rese proprie: qui si è di fronte a qualcosa di uno spessore tale che avrebbe fatto applaudire anche Christa Päffgen in persona.