Carina sarà tua sorella.
Se il disagio sguaiato – condito da un’abbondante dose di sana autoironia – può avere ancora un qualche valore (almeno musicalmente parlando) a più di quarant’anni dal ‘77, allora i Viagra Boys stanno in cima alla lista delle band che hanno una ragione di esistere. Rumorosi, sardonici, disturbanti e forse pure disturbati, ma sempre sul pezzo quanto a tematiche da affrontare, i cinque disadattati di Stoccolma, in due album e una manciata di EP, non hanno perso l’occasione di sputare sentenze su tutto quello che si parava loro di fronte: dal tardo capitalismo liberista, al classismo sociale, fino all’immancabile mascolinità tossica.
Ora tocca al governo svedese e, nello specifico, alla proposta del parlamento di favorire fiscalmente certe forme di arte considerate più “elevate” a discapito di altre di aspetto e fama decisamente più sudicie. «Non mi piace parlare di politica, non sono capace, ma a quanto pare ultimamente come apri bocca stai facendo un atto a suo modo politico. E allora se l’alternativa deve essere il silenzio, parliamo di politica» – dice il frontman Sebastian Murphy. In questo senso quindi, il titolo del terzo album (in arrivo tra le prime uscite del 2021 a gennaio) è una cosa che più punk non si può: Welfare Jazz è contrasto e polemica in due parole. Un atteggiamento che no, non è proprio carino per niente.
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Ain’t Nice è il singolo che ne spiana la strada a forza di schiaffi e terra bruciata. Abbandona i cenni di riflessione vagamente pacata dell’ultimo EP e rispolvera il lato cacofonico e misantropico dei Boys. Ti guarda in cagnesco mentre ti carezza di calci nelle palle e riprende la storia dove l’avevano lasciata pezzi come Sports. Così nel video troviamo Murphy a interpretare con talento naturale un coglione strafatto occupato nel remake di Bittersweet Symphony in versione ubriaca e molesta. Barcolla attraverso una delle idilliche vie principali della capitale scandinava terrorizzando chiunque lo incroci, fino a che un ragazzino non lo stende con un taser e lo teletrasporta nel ‘700.
Non sto scherzando. E a quanto pare non è nemmeno finita qui («to be continued…»).