La bellezza dei tristi arrangiamenti orchestrali da serial killer emo-folk.
Il 2020, pur infausto per molti versi, è stato un anno assolutamente prolifico per Phoebe Bridgers. La paladina dell’emo-folk non si è accontentata di regalarci un bel disco come Punisher, uscito lo scorso giugno, ma ha aggiunto a corredo un EP con alcune versioni orchestrali delle tracce contenute nell’album.
Copycat Killer cavalca l’attuale periodo di forma della Bridgers – e il conseguente successo – e vanta la collaborazione del mastermind Rob Moose (già compositore per alcuni brani dei The National, Interpol e altri idoli indie-rock del nuovo secolo). Il tocco è decisivo e la nuova veste dei pezzi qualcosa di davvero interessante, che va ben oltre il semplice sfizio per collezionisti e appassionati.
Kyoto – già singolo di Punisher – diventa più mite, sornione e quasi meditabondo. Piacevolmente riarrangiato, rende perfettamente giustizia al talento della giovane californiana, classe 1994, che già l’anno scorso si era distinta grazie al tandem con Conor Oberst e oggi continua a mietere consensi.
Lezione Bright Eyes e indie americano anche dal punto di vista lirico, che qui perde la vena Nineties à la Sonic Youth e si concede alla meditazione nostalgica. Quella della tristezza è una carta da giocare sempre quando ci si siede a certi tavoli, dopotutto. Non è vero? Domanda retorica. Certo che sì.