Il declino della civiltà raccontato da un avamposto sulla penisola iberica.
Assumersi dei rischi è pericoloso, soprattutto in ambito musicale. Ma per Fernando Ribeiro e compagnia il cambiamento ha sempre fatto parte del percorso artistico. Percorso artistico che sì ha regalato agli ascoltatori qualche scivolone nel corso di una carriera ormai trentennale, ma anche dei capolavori estremamente diversi tra loro, compreso il valido 1755, concept album uscito ormai tre anni fa. Da allora si sono susseguiti una serie di tour, l’abbandono del batterista storico Miguel Gaspar per motivi personali e una pandemia che ha letteralmente capovolto il mondo.
Con il sangue caldo tipico dei popoli mediterranei i Moonspell hanno reagito allo stravolgimento della quotidianità nel modo a loro più consono: trasformando le proprie emozioni e i propri pensieri in musica.
Il trucco, al solito, è reinventarsi nuovamente, con una traccia che suona Pink Floyd era Gilmour più che Tiamat, splendidamente dilatata e liquida, con un testo (e un video, purtroppo censurato da YouTube) che pongono quesiti pesanti come un macigno. Il cambio di registro a 3/4 del pezzo (in cui ritroviamo la matrice classica della band portoghese) simboleggia il passaggio da riflessione a rabbia nei confronti di una società che ha continuato a dare le spalle a una lenta e implacabile disgregazione dei valori morali e umani che – si suppone – dovrebbero differenziarci da quelle che consideriamo “bestie”.
Niente più vampire o donne fatali vestite di nero, a questo giro è la realtà a essere il centro dell’attenzione e mai come stavolta le liriche di Fernando sono dirette ed esplicite, sposandosi alla perfezione con la musica evocativa in un crescendo emotivo mozzafiato.
Con un anticipo come questo, c’è il rischio che il prossimo album sarà il migliore della loro carriera, perlomeno dal punto di vista artistico. Obrigado.