Punk nell’anima, all’insegna di bellissime canzoni di merda.
«Morire per te / Un suicidio assistito / Scontri di mostri nella testa e poi / Un salto nel vuoto / Un vuoto che a volte sembra / Così difficile da colmare / Perché ogni tanto mi manchi, lo sai / Ma va’ a cagare».
Ogni canzone di Giorgio Canali sarebbe da citare verso per verso, fino a fare un copia-incolla di ogni singola parola da lui scritta e cantata – ovviamente scritta e cantata di merda, come direbbe lui.
↦ Leggi anche:
Giorgio Canali & Rossofuoco: Emilia Parallela
Per dire, l’ultimo album si chiamava Undici canzoni di merda con la pioggia dentro: una meraviglia, un pugno nello stomaco, o meglio undici violenti cazzotti nello stomaco. E, a sentire “i soliti quattro accordi” di Morire perché, si può tranquillamente avere un’idea del fatto che anche il nuovo doppio album Venti sia esattamente così, ma moltiplicato per due.
Non ci sarebbe altro da dire, perché scrivere di bellissime, potenti, rabbiose, commoventi canzoni di merda non è punk come scriverle, e d’altra parte essere punk come Canali è quasi impossibile. Nel senso più vero del punk, quello della voce che ti urla nell’orecchio «be yourself!». Voce a cui l’ex CCCP/CSI risponde ogni singola volta con un atteggiamento da adolescente di sessant’anni, che sale sul palco ubriaco, bestemmia pesantemente per due ore e sembra fregarsene di piacerti nel modo più assoluto. Ma i suoi Rossofuoco hanno un tiro pazzesco, la sua voce grezza è una delle cose più convincenti e sincere che sentirai nella vita, e i testi sono fra i più belli della musica italiana recente. A dispetto dell’immagine punk – in realtà è rock, è alternative, è il cazzo che vi pare, ma il punk è nel sapore che lascia – le parole sono scelte con cura, incastrate perfettamente e arrivano sempre dritte in gola.
A un certo punto Giorgio – lo dice nelle interviste e lo ripete pure qua, autocitandosi – ha deciso che è immortale. Non nel senso che sarà ricordato, ma proprio che vivrà per sempre. E allora lui sì che può scriverla una canzone sulla morte e sui mille modi e motivi per crepare, veloce e distorta, catartica, impietosa, consolatoria nel suo non esserlo per niente, con un ritornello ispanico che prende per il culo i tormentoni estivi, e chiaramente di merda. E non c’è niente di più da chiedere. A Giorgio vita eterna, e sempre viva la merda.