Serenità spruzzata di noise, per essere comunque se stessi.
La band fondata da Ira Kaplan e Georgia Hubley è uno di quei classici nomi che, quando vengono citati, spingono sempre gli altri a complimentarsi con te perché li conosci e apprezzi. Considerazione meritata, anche se forse un po’ condizionata da quella brutta malattia che vuole una band più figa in quanto sottovalutata dai più (e che induce la gente a cercare in ogni modo di demolire i grandi conclamati senza motivo).
In effetti Kaplan e soci non hanno mai raccolto più di tanto, se si considera la grande quantità di musica prodotta e la stima di cui godono negli ambienti dell’alt rock. Tuttavia, anche dal loro ultimo pezzo originale infilato in un EP di cover anni ‘60, traspare – a dispetto del titolo – una certa serenità. Un giusto spirito del fare musica con gusto e, per estensione, essere se stessi.
Elettrica dilatata da chorus e delay e un basso tondo come Giotto dipingono le pareti di questa stanza larga, comoda, arredata con pochi mobili essenziali. Le atmosfere sembrano un po’ quelle dei Low di I Could Live in Hope, ci si ritrova la lezione che hanno imparato bene gli War on Drugs, e si differenziano nettamente dal resto dell’EP, molto più classicamente folk rock (fatta eccezione per l’allucinata, ipnotica versione di It Takes a Lot to Laugh, It Takes a Train to Cry). Giusto una spruzzata di noise verso la fine, con quel ride che cresce come l’eco di una vetrata rotta.
Sleepless Night – scritto in collaborazione con l’artista Yoshimoto Nara – contiene cover di Byrds, Delmore Brothers, Ronnie Lane, The Flying Machine e Dylan, riviste attraverso la sensibilità della band che ha preso la palla al balzo. Questo brano è appunto l’unico inedito, appena una parentesi che arriva come un respiro lungo e meritato dopo uno sforzo prolungato. Meglio scordarsi di ostentare che si conoscono gli Yo La Tengo alle cene di amici nerd, per un po’, e goderseli.