Tirar fuori la musica dal baratro di Spotify e soci? Forse è possibile.
E se si potesse veramente cambiare il mondo della musica? Il business, si intende, quello grosso. Se la musica “a disposizione di tutti” avesse il grande problema di essere già sotto l’egida dei titani dello streaming e avesse trasformato l’arte in nuova schiavitù mercificata a cui son destinate solo le briciole? Se il ruolo (e il prezzo) del management e delle label potesse essere rivalutato in favore dell’artista o della band?
Sleeps Society – la piattaforma connessa all’album omonimo e sviluppata attraverso Patreon – è il tentativo messo in piedi in questo senso dagli While She Sleeps: cercare di iniettare direttamente nel mercato (forse questo termine sarebbe oggi sbagliato!) una proposta di affiliazione diretta, sfruttando la fanbase e la possibilità di ognuno di interagire sempre di più con la band che si vuole supportare. Instagram, Facebook, Twitter sono già roba superata, a quanto pare. Proprio perché alla portata di tutti.
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Con un prezzo maggiore si può ottenere un diverso tipo di materiale: workshop chitarristici, eventi e merchandising esclusivi, packaging handmade. Roba fatta apposta per il fan disposto a sostenere l’artista con un contributo che dovrebbe essere mensile. Sembra fattibile, dicono loro nella conferenza stampa che apre il video del nuovo singolo dei ragazzotti di Sheffield: «Con il futuro delle esibizioni dal vivo incerto, la Sleeps Society consentirà un’esistenza sicura per i WSS e ci darà l’opportunità di rimanere in contatto con il nostro pubblico, sviluppando nuovi modi per provvedere ai nostri sostenitori e riempire il vuoto lasciato dall’assenza di musica dal vivo. In questi tempi incerti, questa è la differenza tra la vita e la morte per il futuro dei WSS . Non siamo preparati per essere un’altra band costretta a rinunciare semplicemente perché il sistema non è progettato per supportare l’artista».
Il pezzo inietta il suo tecnicismo virtuosistico di chitarra (sono già numerosi i video cover su YouTube) e interloquisce con il medesimo pattern ritmico ed espressivo del post-hardcore. A modo suo, un emblema di ciò che il genere – e la musica tout court – può ancora avere da dire in termini di sopravvivenza. E – perché no? – magari un indizio di nuova vita.