La sottile linea nera: musica per riempire i silenzi nelle veglie funebri.
La bellezza della musica è che spesso traccia delle linee di congiunzione tra punti all’apparenza distanti tra loro. Nello specifico, qui la riga (nerissima) unisce la tradizione russa con quella del sud Italia. Il Leitmotiv? Il culto dei morti. Ma non quello caricaturale di un certo goth, né tantomeno quello in salsa gore del death metal. Qui si fa sul serio.
C’è della magia in quello che propone Kariti, artista sovietica oramai d’istanza in Italia da diverso tempo. Di certo i riferimenti culturali di cui è pregno l’album di debutto Covered Mirrors (un riferimento chiaro alla credenza italiana per cui le anime dei defunti possano rimanere intrappolate negli specchi) non lasciano spazio a bazzecole da bar: il suo è un vero e proprio percorso catartico verso l’accettazione del lutto messo in musica, dove ogni capoverso non è lasciato al caso e il tema portante del concept rimane al centro del tutto, pur non risultando per nulla barocco.
Ne è un fulgido esempio Kybele’s Kiss, ballata acustica e introspettiva dalle tinte oscure, dove la nostra prende ispirazione dal mito di Cibele, rappresentante allo stesso tempo la forza creatrice e distruttrice della natura: nascita e morte come unici punti fermi della nostra esistenza.
Non è musica “leggera” quella di Kariti: necessita di uno stato d’animo ricettivo e di tempo per essere apprezzata completamente, ma come ogni cosa di valore ripaga completamente il tempo che l’ascoltatore sarà disposto a dedicarle. Una delle scoperte migliori uscite in questo anno bizzarro.