Catarsi country per ritrovare il sorriso dietro la mascherina.
«All’inizio del lockdown ho iniziato a scrivere delle canzoni country per consolarmi». È stancante che il maledetto virus sia sempre al centro di ogni cosa e, in un momento storico in cui tutti – chi più, chi meno – sbroccano, quelli che scrivono (canzoni, o qualsiasi altra cosa – al netto della crisi nera di arte e intrattenimento) si ritrovano la fortuna di avere per le mani uno strumento in più di sfogo, quasi liberatorio. È come aver investito in titoli di guerra per anni e, quando arriva la fine del mondo, trovarsi un bunker antiatomico già pronto.
Certo, il frontman degli Wilco, come tutti quanti, avrebbe preferito continuare a fare tour in giro. Ma tant’è: la potenza salvifica del folk e del country ha sempre avuto un grande valore, fin da quando entrambi venivano usati per riversarci dentro i peccati della working class e la speranza di tornare nella grazia del Signore.
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Oggi, a Jeff Tweedy, servono per burlarsi di tutti quegli sguardi a metà sotto le mascherine, a cui mancano degli elementi per farsi capire del tutto. Come il sorriso. Ce lo spiega bene il videoclip diretto da James Fleischel: in quella parte di viso si alternano le bocche cantanti di un nugolo di special guests, con effetti parecchio stranianti (forse il patchwork più terrificante è quello con le labbra di Norah Jones, ma poi ognuno scelga il suo preferito – si fa per dire).
New country elettrico ma pacificato, e un testo essenziale seppur pieno di nostalgia, velato da una serie di immagini in cui si sente il disagio per la situazione, la voglia di mandare tutto a quel paese e tornare in un posto che si possa chiamare casa. La catarsi di Jeff Tweedy è questa. Con un pizzico di ironia.