Un insider della musica usa e getta, brandizzata come si deve.
Nike, Fortnite, McDonald’s, Cristopher Nolan e chissà cos’altro ha in mente Travis Scott come nuova collaborazione. Che dire – i soldi stanno dove stanno i soldi, dopotutto. E se un artista di questo calibro riesce a inserirsi nei grandi circuiti di consumo si suppone che non necessariamente la cosa sia un male. «Unboxing my checks, not my Nikes», in fin dei conti.
Tautologie a parte, Travis Scott è un artista che continua a stupire. Non tanto per la musica: quell’hip hop ostentante tutte le ricchezze del caso e integrato con le varie feat di sorta è tutto sommato già cosa vecchia, nonostante produzioni come questa che tentano di dire qualcosa di diverso. Kanye West docet, e tocca adattarsi.
Franchise è però interessante soprattutto in un altro senso, per la precisione proprio quello di cui parlavamo all’inizio. E cioè nell’avere a che fare con il sistema stesso del marketing mainstream, interagendo con le sue proprie modalità d’espressione, e superando la volontà purista che la canzone sia solo una forma d’arte. Come a dire che ormai la musica in sé è cosa pressoché antiquata.
Così finisce con la gente che fa la coda al McDonald’s per accaparrarsi le white tees (come suonava il titolo originale della canzone) brandizzate dal suo idolo hip hop, mentre Scott e gli amici Young Thug e la ritrovata M.I.A. se la ridono di gusto, e ne fanno pure un pezzo mica male. Che sia un mondo usa e getta, sempre più nutrito a junk food e algoritmi non ci impedisce – almeno per 4 minuti – di muovere le spalle al ritmo di un pezzo come questo. Immaginandoci più ricchi, più felici, e lontani da tutto ciò.