Trip audiovisivi alla ricerca di calore umano.
«The blind collective mind of man is all they’re offering / Then you bring a breath of life out of the emptiness / Your hand in mine»
Suoni elettronici, immagini cosmiche e cangianti, e la voce di James Mercer vola alto, introducendoci al nuovo singolo degli Shins, accompagnato da un video che pare l’ideale simbiosi di un trip lisergico e una simulazione 3D di immagini sconnesse. Nonostante la dimensione cibernetica e iperprodotta in cui sono immersi questi Beach Boys postmoderni, il risultato che arriva è avvolgente, espressivo, lineare. «Credo che stessimo cercando di portare un po’ di calore e sentimento in questi tempi difficili» ha detto Mercer.
Per raggiungere lo scopo i tre – Mercer, Jon Sortland, Yuuki Matthews, che hanno scritto il pezzo insieme – hanno fatto una marmellata di input e suoni elettronici di epoche diverse, che a tratti suona come qualcosa di incredibilmente sofisticato, mentre in altri momenti ricorda certe musiche a 8 bit dei videogiochi di trenta o quarant’anni fa – un carosello di impressioni con un certo guizzo di arroganza e una melodia dichiaratamente pop.
«Your hand in mine», ripete Mercer sullo sfondo di meduse, rane, armature sotto vetro, guardie in maschera antigas, scaffali di supermarket vuoti, città viste dall’alto, gallerie d’arte, modelli di corpi umani, ogni immagine che confluisce in quella dopo senza un senso apparente. Il tutto, testo, musica e videoclip, sembra parlare di qualche tipo di connessione e collisione di mondi diversi, che sia per biochimica o per mistero magico. Insomma, un viaggione, in cui la regia di Paul Trillo gioca un certo ruolo.
«The great divide / A stitch in time / Then we recombine / The way it was / Well dust to dust / Has led us here to collide». Abbiamo bisogno di nuovi trip? Forse sì.