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Pixies: Hear Me out
Non vi libererete facilmente di noi

Cazzoni, scaciati, confortanti, vivi e vegeti.

I grandi vecchi dell’indie-rock sono di nuovo qui, e sembra abbiano chiamato Sergio Leone per i videoclip. No, in realtà è l’ungherese Maximilla Lukacs, ma insomma ci siamo capiti. Hear Me out – che a sentire la bassista/cantante Paz Lenchantin è un po’ la risposta dei Pixies ad #andràtuttobene – è visualizzato con toni western a Taos, New Mexico, non lontano da una riserva Navajo e a due ore e rotti di macchina da dove un affabile professore di chimica muoveva i primi passi nel business ricreativo.

Tra macchine da scrivere, tegole cadenti, evoluzioni al lazo, cinematografiche inquadrature dall’alto e Paz che se ne va in giro per il deserto in poncho imitando Joe lo straniero in Per un pugno di dollari, la filosofia laterale e ironica dei Pixies sembra suggerirci che alle pesantezze dei tempi duri ci si oppone cazzeggiando nel modo più spettacolare che si può.

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I riff di basso sono tutti al posto giusto, le chitarre grasse al punto giusto, il batterista David Lovering frusta i cavalli con la giusta ignoranza, e tutto va come dovrebbe andare in un pezzo dei Pixies. Un edificio con fondamenta squadrate e solide e un sacco di cornicioni rotti, viti spanate e murales pazzerelli a partire dal primo piano.

«It’s all right / It’s ok / It’s all right / It’s ok». Viene in mente Anna Marchesini che dice «sì, ma magari sviluppa un po’ il concetto», e invece no. Perché è vero: non è un brano che cambierà la storia, non serve a curare il cancro, ed è probabile che nessuno dirà mai a Helena Bonham Carter «mi hai conosciuto in un momento molto strano della mia vita» sulle note di un pezzo così (o magari sì, chi può dirlo). Ma la verità è che non si può che essere grati che nel 2020 ci siano ancora i Pixies, e che ancora scrivano roba del genere.

Pixies 

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