L’arte di dare vita a una chitarra rileggendo qualcosa dove la chitarra non c’è.
Qual è l’obiettivo di un musicista? Che la sua musica venga apprezzata, magari che gli dia anche da vivere. Sicuramente che gli permetta di esprimersi e perché no, di essere citato a mo’ di esempio. Il riuscire ad avere uno stile unico, che fa scuola, che lo fa riconoscere in mezzo a milioni, non è ad appannaggio di chiunque. Lì non c’entrano le ore passate a studiare: o ce l’hai o non ce l’hai, e Barry Galvin ce l’ha sempre avuto.
Sin dalla sua militanza nei Christian Death, passando per collaborazioni con Scarlet Remains e lungo tutta la carriera della sua creatura, i Mephisto Walz, il suo modo di dare voce alla sei corde è sempre rimasto unico, dando vita a decine di imitatori che mai comunque sono riusciti a eguagliare quel feeling, quel gusto per le armonie, quella capacità di far gridare la sua Telecaster ultracustomizzata.
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Mentre la Nordung ha da poco avviato la campagna di ristampa in vinile del back catalogue della band californiana, Bari-Bari torna oggi con un nuovo album dei Mephisto Walz, All These Winding Roads, che come alcuni lavori passati (vedi The Eternal Deep) è in realtà una raccolta che racchiude brani registrati in tempi diversi – ma riarrangiati, remixati e risuonati – che vanno ad affiancarsi a composizioni nuove di zecca. Per questo motivo troviamo pezzi cantati da lui stesso, da Veronica Campbell o Mari Kattman, in un melting pot dove il comune denominatore rimane Galvin.
Tra le nuove composizioni spiccano l’incalzante Suntanned Satans (con un testo tutt’altro che morbido) e l’eterea Here Lies Forever, anche se il lato nostalgico dei fan di vecchia data non può sottrarsi dal gioire nel risentire la voce di Christianna (che della band fu la cantante nel periodo d’oro) nella nuova versione della cover di Skin. Il pezzo originale rimane una delle cose migliori fatte da Madonna, ma la rilettura dei Mephisto Walz (incisa originariamente per un album tributo) la porta su livelli completamente differenti: sognante, epica, incredibilmente romantica, trova nella sua versione riveduta e corretta il compimento definitivo, con un mixaggio più ampio e una coda strumentale inedita da brividi, dove strati apparentemente infiniti di chitarre lancinanti portano il pathos verso vette himalayane.
Parlando di leggende, se David Gilmour fosse stato goth, l’avrebbe suonata così.