Parafrasando Foster Wallace: cose divertenti che non faremo mai più.
Un disco anthem fatto e finito, che inneggia a uscire per far festa e tirar in lungo il più possibile i bagordi della notte, pensato inizialmente per una collaborazione con Dua Lipa e poi finito non si sa bene come nelle tasche di un improbabile Jarvis Cocker che ne approfitta per spronarci – senza perdere il consueto aplomb – a darci dentro fino al mattino e poi a ricominciare daccapo. Fantascienza, in pratica. Teatro dell’assurdo, commedia grottesca che sfiora la mancanza di tatto ed empatia.
Stride, oggi, una cosa così. Come il cucchiaio sul fondo della pentola e le nostre unghie sopra gli specchi su cui ci stiamo arrampicando da un po’ ormai. La verve irrimediabilmente danzereccia dei synth-poppers londinesi cozza con il morale abbacchiato dell’utente medio, stona con il grigiore del paesaggio fatto di dati e grafici sconfortanti, appare quasi maleducato di fronte all’inebetito susseguirsi di decreti ministeriali e conseguenti zuffe di strada.
Eppure ve lo giuro: c’è stata un’epoca in cui questo era il suono della normalità. Un’epoca in cui muovevamo il culo come degli invasati, appiccicati gli uni agli altri, sudaticci, ciucchi persi nelle strobo di un momentum che era solo ora, anzi, ora o mai più. Beati e incoscienti, senza la minima preoccupazione di un domani che sembrava così lontano, oltre l’alba, e di un futuro la cui presenza nessuno però metteva in discussione. E no, non sto parlando di questa estate quando avete fornito credenziali false per entrare nel focolaio del Billionaire.
Adesso, anche solo a pensarci, la cosa ha il fetore pesante dell’archeologia, come i pantaloni a zampa di elefante addosso a una mummia in terapia intensiva, o come aprire quell’armadio di nonna sperando che la naftalina abbia abbassato l’indice di diffusione delle tarme. Oppure, per gli inguaribili ottimisti, è come tornare per qualche minuto adolescenti, quando potevamo organizzare feste con più di sei amici, lunghe un intero weekend, nella casa lasciata libera dai nostri genitori che ancora avevano la possibilità di trasferirsi in quella al mare senza necessità di autocertificazione. Un mondo ormai parallelo in cui drogarsi di frullati glicemici a base di panna montata e cereali invece che di penne lisce, rompere qualche vaso cinese di dubbia origine senza trovarci dentro un pipistrello infetto e infine alzare una stremata bandiera bianca con scritto “è andato tutto bene”, dopo l’ultima partita a quello sport di contatto che è la lotta a cuscinate saltando sui materassi.
Nemmeno accorgersi che qualcuno ha calpestato per sbaglio il telecomando e acceso la TV. Sorvolare sul fatto che non ci sia la solita conferenza stampa mascherata del presidente del Consiglio, ma solo un tizio di una certa età con degli occhiali buffi che balla sfoggiando uno stile del tutto personale e una classe innata, su uno sfondo di colori caleidoscopici. «I’ll pick you up at half-past 10 / I’ll see you move by 11», dice.
Cosa sono quelle facce? Se anticipiamo il tutto di quattro o cinque ore ci stiamo dentro. Nonostante il coprifuoco.