La morsa inesorabile delle lamiere newyorkesi.
È sempre difficile fare un disco che spaventa, anche per gente che è abituata a fare dischi che spaventano. Non si dica che a New York non si riesce più a creare musica estrema di livello assoluto: con gli Uniform lo si era già capito. Shame ce ne ha dato la conferma.
Il quarto disco della formazione americana ha le carte in regola per divenire il loro emblematico stendardo di malessere industriale. Il punk, il thrash metal e la power electronic, così come l’analogico e il digitale, si fondono perfettamente, soprattutto con il nuovo innesto delle batterie (vere!) di Mike Sharp. Il resto, poi, resta sempre appannaggio del duo Greenberg/Berdan, questa volta accompagnato dalla sapiente mano di Randall Dunn, nei suoi studi nella Big Apple. Le cose girano davvero bene. E proseguono il percorso intrapreso con il mitico The Long Walk di due anni fa.
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Uniform: The Walk
Life in Remission è l’ultimo singolo tratto dal nuovo lavoro, uscito lo scorso 11 settembre per Sacred Bones, e spiega perfettamente cosa vuol dire, oggi, suonare come gli Uniform. Musica annichilente, in cui annegare inesorabilmente, senza scuse, nel tripudio noise di lamiere che inghiottono come sabbie mobili. Corrosive come acido, letali come veleni.
«La canzone parla di persone a cui sono stato vicino e che se ne sono andate e di come sono diventato insensibile alla morte. Molte di queste canzoni hanno a che fare con un dialogo interno e un senso travolgente di paura, inutilità e terrore che mi sussurrano costantemente: “Non sei abbastanza bravo. Arrenditi e unisciti a coloro che hai visto scomparire”».
La collaborazione con i The Body si fa sentire. E la nuova visione del villain destinato a non redimersi più, del romanzo hard boiled, di una letteratura cupa e di un cinema altrettanto inesorabilmente notturno sono gli elementi immaginifici che si stagliano sulle pareti taglienti di questi suoni che non lasciano scampo. In qualche modo, ancora catartici.