Domani è un altro giorno. O forse son più di uno?
Mettere in discussione, sfidare, fare a pezzi e ricostruire da zero la propria identità. Quattro passi di un algoritmo e un ordine esatto, indiscutibile, in cui compierli. Complicato farlo, oggi, in un terreno minato come l’America attuale. Eppure mai come oggi necessario.
Ryan Lott ha deciso di provare a mettere questo sforzo in musica, ma si è subito reso conto che un solo album non sarebbe stato sufficiente. Così il progetto ha preso la forma di una trilogia che tenta l’impossibile: raccontare il nostro domani (tutti i domani possibili) a partire dalle ceneri del nostro presente (qualunque esso sia). Tomorrows I è appena uscito, le restanti due parti dovrebbero vedere la luce entro l’inizio del prossimo anno. E, visti i tempi, già prendersi un impegno del genere riguardo al proprio – di domani appunto – non è cosa da poco.
Son Lux era nato come un progetto solista, che potesse portare su un altro livello di sperimentazione la formazione classica di Lott. Poi sono arrivate le chitarre mistiche di Rafiq Bhatia e la batteria roboticamente umana di Ian Chang e l’idea ha preso una forma più (in)definita, che si è dimostrata capace di trasformare i momenti più intimi in racconti di una maestosità che toglie il fiato, arricchendo ogni nitido, minuscolo dettaglio con una grandeur mai snob, seppur complicata.
Undertow fa sua la linea dell’ermetismo e dello sperimentalismo sfacciato, ma senza cadere nell’autocompiacimento. A un’analisi superficiale sembra quasi mutilata della sua parte narrativa ed emozionale, e invece cresce per addizioni successive e progressive, stralunando una struttura semplice in una coda convulsa e coinvolgente.
Un testo fatto di versi brevi, chiari e intensi, che va a toccare la tensione del momento (l’ispirazione è l’omicidio di Breonna Taylor) e si rivela senza imbarazzo per quello che è – più che una speranza, una preghiera: trovare qualcuno che abbia il coraggio di giurarci che non è già troppo tardi.