Dal sud di Londra, con furore e senza vergogna.
Non è un mistero che molta della musica più interessante degli ultimi due anni provenga dall’Inghilterra e dall’Irlanda.
Gli Shame si differenziano parecchio dai gruppi più conosciuti di questo movimento, come gli irlandesi Fontaines D.C. oppure i connazionali IDLES. Sono più fragorosi, più chiassosi, ma meno diretti. Il loro malessere è incastonato tra il loro consueto muro di chitarre e il cantato, spesso urlato, del loro frontman Charlie Steen.
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A due anni da quel gioiello di Songs of Praise e dopo un periodo di silenzio, gli Shame si riaffacciano ora sulla scena musicale con la nuova Alphabet che, rispetto al passato, è meno aggressiva e mischia un po’ le carte in tavola. Il suono è in qualche modo ripulito e la proposta musicale del gruppo – più che all’ibrido Fugazi/Cure dell’esordio – guarda a certi suoni di chiara matrice post-punk, genere cui erano stati accostati quando muovevano i loro primi passi dentro pub di South London, nello stesso quartiere – e sotto l’ala protettiva – di quei pazzerelli sregolati dei Fat White Family.
La prova del nove sulla reale caratura della formazione si avrà solamente quando potremo ascoltare il loro secondo album, quello che si sa fin troppo bene essere il più difficile per ogni band.
Per ora godiamoci questo antipasto, che lascia onestamente ben sperare.